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Il coraggio è donna come la libertà. 8 Marzo per le donne che combattono in Iran e in Afghanistan e che resistono in Ucraina e Myanmar

7 marzo 2023


Le accuse di violenza sessuale da parte delle truppe russe si sono succedute già dai primi mesi della guerra ma ora l'Unione europea ha adottato, per la prima volta, sanzioni contro nove persone e tre organizzazioni ritenute responsabili di "violenze sessuali e violazioni su larga scala dei diritti delle donne". L’utilizzo dello stupro come arma di guerra è probabilmente più antico della guerra stessa. Già nel corso del 2022 diverse associazioni avevano fatto sentire la propria voce sollecitando gli attori dell’accoglienza delle persone in fuga a considerare la delicatezza del tema e la necessità di fornire assistenza e accompagnamento alle donne che hanno subito violenza di genere e sessuale, sia all'interno dell'Ucraina sia nei Paesi in cui cercano rifugio. Ugualmente nell’agosto 2022 l’ONU aveva denunciato in Birmania "crimini sessuali e di genere, inclusi stupri e altre forme di violenza sessuale, nonché torture contro i bambini, reclutati e detenuti arbitrariamente''.
Il 15 agosto 2021 e il 16 settembre 2022 rappresentano due date cruciali che hanno determinato uno stravolgimento del panorama internazionale globale, hanno segnato e continuano a segnare la storia di due Paesi, l’Afghanistan e l’Iran, e con loro la vita e le sorti di intere generazioni di donne, bambine, adolescenti e madri.

Da un lato, il ritiro delle truppe americane da Kabul e il conseguente ritorno al potere dei talebani ha significato per donne e bambine afghane la perdita di ogni diritto conquistato negli ultimi 20 anni. Infatti, il regime segregazionista talebano ha imposto una serie di divieti che di fatto ha cancellato qualsiasi possibilità di vita fuori dalle mura domestiche per le donne e le bambine afghane.

Dall’altro lato, in Iran, dopo la morte di Masha Amini, la 22enne curdo-iraniana, avvenuta il 16 settembre scorso, a seguito della detenzione in un centro di polizia morale in cui era stata rinchiusa per non aver indossato correttamente il velo, si susseguono manifestazioni e proteste e si registrano a oggi 525 manifestanti uccisi negli scontri con la polizia, di cui oltre 70 bambini, 19 mila persone arrestate, così come esecuzioni, impiccagioni di giovani e, come riportato di recente dai media, aumentano i casi di avvelenamenti di studentesse nelle scuole iraniane, a oggi oltre 200 registrati.

È proprio nel nome di Mahsa Amini, al grido di Donna, Vita, Libertà, che migliaia di donne e uomini di ogni età e di ogni classe sociale si sono riversati nelle strade per dichiarare la loro aperta opposizione a un regime che ogni giorno opprime la sua popolazione con sistematiche discriminazioni di genere e violazioni delle libertà fondamentali. Una protesta che non intende fermarsi, nonostante il regime reprima nella violenza e nel sangue ogni forma di dissenso.

Partendo proprio da qui, in questa giornata di riflessione, vogliamo richiamare il sostegno e la solidarietà nei confronti del popolo iraniano e afgano, in particolare verso tutte quelle donne che lottano per la loro libertà con grande coraggio.

Essere libere significa poter studiare e decidere chi diventare. Significa poter uscire di casa con i capelli scoperti senza paura di essere arrestate o di perdere la vita. Significa avere l’opportunità di guadagnarsi da vivere e veder riconosciuto, equamente, il proprio lavoro. Significa poter scegliere di costruire una famiglia in pace, lontano dalla violenza e dalla guerra.

Tutto ciò senza dimenticare mai che, anche in quei Paesi in cui queste libertà sono tutelate, non bisogna mai abbassare la guardia, perché nessuno può dirsi salvo per sempre. I diritti conquistati vanno difesi sempre. Parla chiaro, in questo senso, l’abolizione da parte della Corte Suprema in alcuni Stati americani della storica sentenza Roe v. Wade che nel 1973 aveva riconosciuto il diritto all’interruzione di gravidanza tornando di fatto a renderlo vietato.
Dunque, anche nel nostro Paese, nelle nostre scuole, dobbiamo avere il coraggio di trattare tematiche quali l’educazione sessuale. Dobbiamo riuscire a parlare, partendo proprio dai più giovani, di revenge porn, linguaggio dell'odio, victim blaming, pregiudizi, ruoli, forme di violenza, responsabilità del sistema culturale, gender pay gap, lavoro femminile, quello domestico e di cura scaricato sulle donne e non retribuito, difficoltà nella conciliazione dei tempi lavoro/famiglia e mancato sostegno alla genitorialità. Tutte tematiche che sono in realtà di ordine collettivo e riguardano i diritti civili, ma che troppo spesso vengono usate come temi politici invece che come materia di prevenzione sociale.

Infine, ma non per importanza, vogliamo ricordare le vittime di violenza avvenute in gran parte per mano di persone nella cerchia dei famigliari o dei propri affetti: un fenomeno in aumento che passa dalle 118 vittime nel 2020, a 119 nel 2021 a 125 nel 2022, per arrivare alle 20 vittime dal 1° gennaio al 5 marzo 2023, di cui 18 in ambito familiare/affettivo. Il nostro pensiero va a quei figli, a quelle famiglie, a quelle vite spezzate e al tanto dolore che queste morti violente lasciano. Non ci stancheremo di denunciare le tante violenze e i tanti soprusi che si concentrano e accaniscono sul e contro il corpo delle donne perché libere, perché non rinunciatarie, perché portatrici di valori assoluti di umanità e di vita.


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